lunedì 4 dicembre 2017

il mal di vivere

Cara Giorgia, 
ti scrivo con l'adrenalina ancora addosso e voglio scriverti proprio ora, nonostante le mille cose da fare, perchè quando sono in preda a bellissime emozioni come in questo momento riesco ad arrivare a spiegarti molte più cose, molti più concetti.
Adrenalina che viene da ieri sera, dall'evento sul mal di vivere, da un bellissimo lavoro fatto con le altre ragazze dell'Associazione Mi prendo, mi porto...
Un argomento molto forte e allo stesso tempo delicato.
Un argomento di cui si parla poco, forse per vergogna. 
Abbiamo osato, stavolta abbiamo osato tanto. Ma se non si osa non si va da nessuna parte, si sta fermi ad aspettare che succeda chissà cosa per capire poi che forse non succederà niente.
Si è parlato di apparenza, dovere, debolezza, ascolto, cura, energia, specchio, sofferenza, morte.
Parole importanti, parole pesanti che una volta dette forse alleggeriscono un po' l'animo.
Lo abbiamo fatto insieme a tante persone, unite in una stanza per ascoltare e riflettere insieme sul tema della depressione. 
Lo abbiamo chiamato mal di vivere, ci siamo permesse di dare un nome a questa sofferenza silenziosa che talvolta non viene ne riconosciuta e ne accettata. Un fardello che s'impossessa di noi, del nostro corpo e della nostra mente, un dolore inspiegabile e indescrivibile, un dolore immenso, la mente che si ferma, il corpo che si arrende, noi che non siamo più noi ma sembriamo impossessati da un altro essere fino a quel momento a noi sconosciuto, noi che non ci riconosciamo più allo specchio, noi che non rispondiamo più alle attese che gli altri hanno su di noi. Forse hanno esagerato con le richieste, le aspettative. Ci hanno riempito di "devi", "non puoi", "fai" dimenticandosi dei "sii te stesso", "fai ciò che senti", "fai ciò che ti fa stare bene", "non aver paura di cambiare". 
Poi, quando ormai siamo in un'altra dimensione continuano con le frasi che ci fanno ancora più male.
"Devi reagire!", "Finiscila di lamentarti!", "Tutti abbiamo dei problemi, non solo tu.", "Devi uscire, sorridere come una volta.", "Devi darti una mossa.". Lo fanno convinti di aiutarti, sono in buona fede, ma tu avresti bisogno di altre parole.
"Io sono con te, al tuo fianco.", "Ascolto i tuoi silenzi.", "Ti voglio bene.", "Ti accolgo così come sei, non ti giudico.", "Ti capisco, non ti lascio."
Eppure basta poco, eppure a volte è sufficiente anche solo la presenza, senza nessuna parola. 
Basta tenere l'altro per mano, aiutarlo a prendere la valigia della sofferenza perchè da soli è tutto più difficile e perchè si può sollevare una valigia senza per forza dover commentare o analizzare.



"Vorrei potermi sedere al tuo fianco, sapere che non hai paura o fastidio.
Vorrei, in tua compagnia, scoprire che non sono sola, che posso parlare senza nascondermi o ballare senza sentirmi una persona ridicola, pazza, confusa, strana.
Vorrei, in tua compagnia, camminare silenziosamente lungo questa mia strada senza il terrore che il rumore dei miei passi sia per te assordante.
Vorrei guardare i tuoi occhi e leggervi la serenità di chi niente può fare se non amare."